Poco prima dell’alba nei pressi dell’isola dei Conigli a poche miglia dalla costa siciliana di Lampedusa il 3 ottobre si è consumata la più grande strage di immigrati che l’ isola abbia mai conosciuto. Un barcone carico di eritrei e somali si è incendiato, rovesciato e poi colato a picco. Su oltre 500 persone a bordo solo 155 i sopravvissuti mentre le vittime sarebbero 302 al momento, anche se il bilancio è provvisorio e in costante aumento. L’ incendio è da collegare probabilmente ad una coperta bruciata per segnalare la presenza in mare e richiedere soccorso. Purtroppo però quest’espediente d’ aiuto si è trasformato in tragedia: nel giro di pochi istanti le fiamme hanno inghiottito il ponte della nave sporco di gasolio estendendosi rapidamente al resto dell’imbarcazione la quale però, nel frattempo, iniziava a inclinarsi per il peso delle persone che hanno iniziato a spostarsi dalla parte opposta a quella dove stava divampando l’ incendio. Attimi di terrore, momenti di paura che hanno visto i passeggeri buttarsi a mare, molti dei quali senza saper nemmeno nuotare. Lampedusa si è trasformata in un cimitero: centinaia di cadaveri avvolti in teli di plastica, immagini raccapriccianti di corpi senza vita riportati in superficie dai sommozzatori, alcuni appartenenti a bambini e donne incinte. I numeri ci parlano di una tragedia senza precedenti, una strage di vittime innocenti scappate dal proprio paese, dalla guerra e dalla fame per venire in Italia in cerca di un lavoro, di riscatto, di una vita migliore, e che invece hanno trovato la morte nelle acque del Mediterraneo. Mesi di duro lavoro e intensi sacrifici per mettere da parte i soldi per il viaggio che avrebbe loro cambiato la vita, il viaggio della speranza. Si sono lasciati alla spalle i familiari, gli amici, una vita intera, in cerca di fortuna, con il desiderio nel cuore di poter un giorno riunire tutta la famiglia magari proprio in Italia. E dopo tanto dolore, tanti sogni infranti che cosa resta? Oggetti personali, portafogli inzuppati, fotografie sbiadite, ricordi cui aggrapparsi nei momenti in cui la nostalgia non lascia scampo, ecco che diventano ora reperti importanti per l’ identificazione dei cadaveri. Vittime senza nome che sfidano le insidie del mare nel cuore della notte su imbarcazioni decadenti e sovraffollate, in condizioni disumane, nella consapevolezza che si rischia la vita sia che si decida di partire sia che si decida di restare. Il lutto nazionale proclamato per il 4 ottobre e la solidarietà espressa dalla classe politica alle famiglie delle vittime e al sindaco di Lampedusa non sono però bastate a placare il clima incandescente di polemiche abbattutesi su numerosi fronti della vicenda a partire dai soccorsi che secondo alcuni non sarebbero stati tempestivi a causa di alcune persone che erano più impegnate a filmare quanto stava accadendo invece che dare il proprio contributo nelle operazioni, passando per le proteste dei sopravvissuti costretti al C.P.A in condizioni al limite della dignità umana, fino alla rabbia dei lampedusani che si vedono l’ isola presa d’ assalto dagli immigrati in condizione di degrado e si sentono abbandonati dalla classe politica. Napolitano intanto lancia un’ appello all’ Europa affinché sostenga l’ Italia in questa drammatica situazione e non l’ abbandoni. E mentre il mare delle polemiche è in burrasca ecco che altri clandestini a bordo di nuovi barconi si apprestano ad affrontare il viaggio della speranza.
Simona Rotondi |
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