Vedute di un Vesuvio prepotente, del mare in tempesta, di una Napoli tentacolare, rarefatta ma postmoderna, di Stromboli, di Capri e i suoi Faraglioni, ma anche città inurbate dai colori conturbanti, una Milano tutta Duomo, provocazioni fescenniniche ed apotropaiche.
Questa l'arte, o forse meglio ancora, l'idea stessa dell'arte, di Gennaro Regina.
Napoletano della metà degli anni sessanta, Regina è erede di una famiglia di editori d'arte e librai antiquari e, alla fine degli anni novanta, apre, con il fratello Vincenzo, il “Voyage Pittoresque", elegante spazio in Napoli, alla Via Vittoria Colonna, dove oggettistica di lusso, spesso ispirata alle antiche guaches napoletane, incontra stampe attentamente realizzate dagli artigiani della famiglia Regina, una simpatica collezione di portachiavi e braccialetti dal gusto "apotropaico" ed altre numerose ed interessanti creazioni per originali idee regalo.
Ma, forse, il vero punto di forza del “Voyage Pittoresque" risiede proprio nell'esposizione delle opere dello stesso Gennaro Regina.
Regina, in soli quattro anni di presenza sul difficile mercato dell’arte contemporanea, ha già conquistato un certo spazio e nome; le sue opere sono state accolte molto positivamente da riviste specializzate e vendute con un discreto successo in un'asta presso Rosbery's a Londra (dove un suo quadro è stato venduto per oltre 1.600 sterline).
Regina, nelle sue opere più canoniche, fonde fotografia e pittura - partendo, spesso e volentieri, da vedute anche dell'ottocento della sua (nostra) amata Napoli, piuttosto che da suoi propri schizzi e/o fotografie rielaborati grazie alla grafica computeristica - per poi ridefinirle con una pennellata selvaggia, primordiale, giocata tutta su forti scambi cromatici, quasi emozionali.
Non mancano giochi e provocazioni come in "Maluocchio" e in "Fessuvio", entrambi con protagonista il vulcano napoletano in chiave scacciamalocchio, o sotto mentite spoglie (per così dire: Fessuvio, infatti, rappresenta un Vesuvio stagliato tra cielo e mare, sottoforma di grandi labbra, sensualmente aperte ed... eruttanti!).
Le tele di Regina sono opere uniche realizzate dal pittore in differenti dimensioni, oppure acquistabili in versione "stampa" e mini-me, sempre presso l'atelier di famiglia, per potare a casa anche solo un pezzo della sua interessante visione del mondo e di Napoli.
Una visione che, tesa tra chiari e scuri ipercromatici, restituisce a Napoli, anche grazie alle continue eruzioni del Vesuvio “marchio di fabbrica” di Regina, la sua giusta ed immarcescibile vitalità.
Ho incontrato Gennaro Regina nel suo atelier a Napoli, qualche mese fa, scoprendo oltre che un raffinato artista anche un uomo cortese, simpatico ed allegro, quasi un napoletano d’altri tempi.
Quella che segue è la nostra chiacchierata.
Da dove le è nato l’amore per la pittura e da quando ha iniziato a vendere le tue opere?
In realtà io ho sempre amato dipingere. Pur non avendo seguito nessuna scuola, né avendo fatto studi precisi in tal senso, ho sempre dipinto: lo facevo per me stesso. Certo poi da quando con mio fratello Vincenzo, ho aperto il negozio – era il 1997 – ho sempre disegnato gli schizzi per molti degli oggetti che ci facciamo realizzare, ma le tele erano un qualcosa di solo mio. Poi un mio amico mi chiese una mano per realizzare un suo studio ed io pensai di regalargli anche un mio quadro; gli piacque davvero molto e tante persone gli chiesero dove l’avesse preso. Ecco io avevo sempre pensato che fossero belle le mie opere, però, da quel momento ho iniziato a crederci di più e le ho esposte al negozio. Era il 2007. Da lì è stato tutto spontaneo e naturale: grazie al passaparola, le mie opere hanno iniziato ad incuriosire e a girare, varcando anche i confini della città e calamitando un interesse sempre maggiore.
Le sue opere sono state esposte anche fuori Napoli, vero?
Sì, assolutamente. Abbiamo realizzato alcune mostre anche a Milano, dove ho avuto un buon successo di cui sono particolarmente fiero – Milano è una piazza particolarmente ostica per l’arte contemporanea –, ma anche fuori Italia.
Torniamo alle sue tele e ai suoi quadri: l’elemento che la caratterizza maggiormente, anche se non mancano altri spunti, è Napoli ed il Vesuvio, mi spiegherebbe cosa significano per lei e cosa vuol comunicare rappresentandole in continuazione?
Napoli è la mia città, è la città dove vivo, dove lavoro, dove spero continuino a vivere le mie figlie. Di Napoli si rappresenta sempre e solo il male e questo male, in definitiva, siamo noi napoletani a beccarcelo in pieno. Chiaramente Napoli è una città dalle mille difficoltà, ma ha anche tante incredibili bellezze che dovrebbero essere valorizzate, certo, ma di cui dobbiamo in ogni caso essere fieri; sono un tesoro che noi dobbiamo mostrare. Con le mie opere voglio fare, sostanzialmente questo. Il Vesuvio per me rappresenta un faro, è una reazione, un urlo, una ribellione. Per questo il “mio” Vesuvio erutta sempre: se noti, però, il suo fumo non incombe mai sulla città, è sempre teso verso il cielo. Il mio è un Vesuvio buono che rappresenta tutto il fermento della città.
Diceva di augurarsi che le sue figlie restino a Napoli e lei stesso, del resto, ha deciso insieme con suo fratello, di essere un imprenditore della cultura nella nostra città. Come mi risponderebbe se le dicessi che restare a Napoli è, a mio giudizio, in un certo senso anche un dovere?
Ti rispondo che sono assolutamente d’accordo, anche se, forse, più che un dovere la definirei una scelta di coraggio. Napoli, come dicevo prima, ha indubbiamente molti fattori negativi e la vita qui non è facile, eppure è anche una città che ha molti aspetti positivi. Ha una realtà così complessa che rende possibile di gestire la fantasia a trecentosessanta gradi. Ti dà degli spunti incredibili. Non dobbiamo poi sottovalutare di possedere delle risorse artistiche e naturali che potrebbero far vivere un’intera generazione. Per me è incredibile vedere come altre nazioni, come ad esempio la Spagna, abbiano creato un indotto turistico perfetto avendo molte meno risorse di noi. Impegnarsi per un impiego ottimale delle nostre ricchezze storico-culturali e naturali è una sfida in cui molti potrebbero lanciarsi.
A proposito di ricchezze mal impiegate, in una delle sue opere, Pompei, raffiguri per l’appunto uno scorcio del complesso archeologico della città vesuviana. Vogliamo dire qualcosa sulla gestione di Pompei anche alla luce dei tristissimi avvenimenti degli ultimi anni?
Cosa vuoi che ti dica... chiaramente anche quella è un’altra scommessa persa e gravemente. E’ più che ovvio che un sito simile, dal valore archeologico incomparabile andrebbe tutelato, preservato e gestito in tutt’altra maniera. Ma sin dagli aspetti più banali. Non so se ci sei stata di recente, ma appena si entra si viene quasi aggrediti da uno stuolo di guide turistiche che ti vogliono accompagnare per la città, così senza alcun ordine. Non è certo questo il giusto biglietto da visita per un luogo di una simile importanza. Purtroppo facendo il confronto con quanto succede in altri siti romani al di fuori dall’Italia, anche in zone che si pretendono meno civili della nostra, ne usciamo a pezzi. Credo che in un certo senso quello che è successo a Pompei sia l’estremo e più drammatico esempio di quello che succede a Napoli, ma direi anche in Italia, in generale.
Quindi per lei le sue opere sono anche un modo per diffondere la bellezza di Napoli?
Certo. Poche, pochissime sono le voci che mostrano Napoli per quello che realmente è, al di là dei suoi problemi e delle sue brutture. Solo gli artisti, i poeti, i letterati, gli scrittori hanno oggi il coraggio di mostrare un’altra Napoli: quella della cultura, della capacità di andare avanti. Se si guarda la televisione, i telegiornali, l’immagine che abbiamo della nostra città è unidimensionale e votata al peggio.
Tornando più strettamente alla realizzazione delle sue tele, la sua è una tecnica particolare che spesso fonde fotografia e pittura, me ne può parlare? E poi crede che l’utilizzo di una tecnica così particolare debba essere necessariamente spiegata all’osservatore dei suoi quadri?
Quando dipingevo anche solo per me stesso lo facevo, soprattutto, per mettere insieme due delle mie passioni più grandi: la pittura, per l’appunto, è la fotografia. Tutto è nato in maniera molto casuale: avevo fatto una foto i cui colori non mi piacevano e così ho provato a modificarli con la pittura. Il risultato mi è piaciuto moltissimo e così ho iniziato a farlo più spesso e anche con tecniche diverse, utilizzando il plotter che mi permette di stampare una foto direttamente sulla tela o su materiali differenti. Da lì poi parto per la realizzazione del nuovo quadro. In ogni caso, anche se non mancano opere che realizzo semplicemente dipingendo, non credo che l’opera d’arte vada vista come prodotto artigianale. Mi spiego meglio: non credo che l’ipotetico valore di un’espressione artistica cambi in base al modo con il quale è stata realizzata. Dunque a chi me lo chiede posso spiegare tranquillamente come sia stato realizzato un quadro o un altro, ma quello che mi auguro è di riuscire a trasmettere qualcosa e, se mi permetti la provocazione, di regalare qualcosa a chi osserva le mie tele non grazie alla mano che le ha materialmente realizzate, ma all’anima che ci ho messo dipingendole.
E le sue tele, oltre all’amore per Napoli, per i suoi luoghi, per le sue tradizioni, che cosa vogliono esprimere?
In realtà non è che abbiano un messaggio in particolare: molte volte quando dipingo io esprimo semplicemente uno stato d’animo, attraverso l’utilizzo di colori più tenui o più accessi, o di pennellate più selvagge o più delicate. Spesso mi capita che chi le osserva si sintonizzi spontaneamente sulla mia lunghezza d’onda; altri, invece, vedono sensazioni e spunti che magari io stesso non avevo colto. Quello che mi interessa maggiormente però è essere comprensibile, fruibile. Poi, chiaramente, ci sono opere alle quali sono più legato, che anche nel momento della realizzazione hanno avuto per me un significato particolare, ma in generale, dietro ogni quadro, o disegno c’è sempre uno stato d’animo.
Mi parli, invece, del “Voyage Pittoresque”, la tua attività imprenditoriale che è anche un bellissimo atelier. Cosa si auguri per il futuro?
La nostra produzione, sia come editori, sia per quello che riguarda gli oggetti di design, è chiaramente di nicchia. La nostra più grande soddisfazione è quella di trattare con la qualità: la qualità dei nostri clienti e l’altissima qualità delle aziende con le quali collaboriamo. Il design dei nostri oggetti è raffinato, come amo dire. Indubbiamente, come tutti gli imprenditori, coltiviamo la voglia di crescere, di avere un riscontro sempre maggiore e in tal senso il 2011 è stato soddisfacente, nonostante la difficile congiuntura economica che stiamo passando.
Però la volontà più forte è quella di fare piccoli passi, calibrati e realizzati, come sempre abbiamo fatto in questi anni con le sole nostre forze e, soprattutto, senza tradire la nostra identità. Ad esempio, è ovvio che se realizzassimo altrove alcuni oggetti, ne potremmo avere di più e, magari, a costi più contenuti, ma l’oggetto così perderebbe tutta la sua peculiarità e il suo valore che una “tiratura” limitata, la realizzazione secondo alcune precise regole, ci garantisce.
Eccoci all’inevitabile domanda marzulliana: oggi si sente più artista o più imprenditore?
Qualche anno fa a questa domanda ti avrei risposto sicuramente imprenditore, adesso ti dico artista-imprentore. E devo riconoscere che questa doppia natura ha sempre convissuto in me: io ho sempre disegnato gli oggetti che vendiamo e, come prima ti dicevo, ho sempre dipinto. Adesso che lo faccio anche apertamente, posso dire che forse la mia natura artistica sia quella che fa muovere tutto, anche il mio modo di essere imprenditore.
Daniela Persico
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